Vorrei mettere degli asterischi ai margini delle nostre conversazioni, per cercare di capirti. Cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. e lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. E sarei sempre sugli eurostar e sulle frecce rosse a sfogliare riviste, per venirti incontro. Stammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore di macchina o trenta euro di treno. Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando anche male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer.Il computer che ha sempre la febbre, come i cani. Che mi spaccherei il setto nasale come i pugili, prima di venire a vivere con te, così poi puoi farmi quello che vuoi che tanto non mi succede niente e posso continuare a girarti intorno, facendo finta di colpirti e poi abbracciarti finché l’arbitro non riesce a staccarci. A volte pensi che siamo come quegli animali dei documentari che non si capisce mai se si stanno massacrando o se stanno facendo l’amore. E tu che entri col piccone e col casco da minatore nel mio cuore. E la fine delle nostre amicizie. Io che cerco delle agenzie di copywriting per riuscire a venderti il mio carattere di merda, per leggerti chilometri di righe confusionarie d’amore. Che non mi scrivi più. Amare è tutto un tornare, che cazzo vuol dire. I compleanni ,i supplementi sui biglietti dei treni interregionali, i telefoni fissi, i compiti per le vacanze, i nostri fratelli. I nostri laghi interni. Scambiarsi la saliva e le illusioni. In cosa consiste questa notte.Scriverti sulla fronte torno subito, e poi non tornare mai.